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INTRODUZIONE ALLA TAVOLA DI RIFLESSIONE - di Claudio Ciancio

 

Vorrei anzitutto ringraziare gli organizzatori di questo incontro, il Meic di Vercelli e in particolare il prof. Ambrosini e mons. Massa, che ancora una volta hanno saputo proporci un tema così importante e hanno saputo radunare un pubblico eccezionale.

Il Convegno si collega idealmente a quello del 2003 sul futuro del cristianesimo. Ora lo sguardo si fa anche retrospettivo (si guarda indietro, si ripensa la tradizione europea per progettare il futuro) e allo stesso tempo si restringe all'orizzonte dell'Europa, di quell'Europa della quale il cristianesimo è un momento ed anzi una radice essenziale, come si deve necessariamente riconoscere soprattutto quando la questione sia riportata sul terreno più appropriato, che è quello storico-culturale.

Giustamente nell'invito si parla di un'Europa permeata del senso di Dio e insieme radicalmente distante da lui. Questa è l'Europa di oggi, ma è anche, in forme e misure diverse, l'Europa di sempre. L'Europa si è costituita e si è sviluppata sulla base di molteplici dualità: classicità e cristianità, romanità e germanità, ebraismo e cristianesimo, cristianesimo e Islam, e poi ragione e fede, natura e grazia, filosofia e teologia, stato e chiesa, diritto civile e diritto canonico, immanenza e trascendenza, tempo ed eternità, tradizione e rivoluzione, corpo e anima, particolarità e universalità, individuo e società, cultura umanistica e cultura scientifica. L'elenco è lunghissimo e potrebbe essere ancora ampliato.

Quella europea è una civiltà nella radice della quale è inscritto un principio dualistico, una struttura di alterità; essa si è formata intorno a linee di frattura. La prima grande frattura precedette il cristianesimo e fu il sorgere del pensiero filosofico e scientifico che incrinò l'unità del mondo mitico: la religione non fu abolita ma entrò in un rapporto di tensione e anche di contaminazione con la ragione filosofica e scientifica. Più profonda poi fu la frattura prodotta dal cristianesimo, sia perché in generale si trattava non più di uno sviluppo interno a un orizzonte culturale ma dell'incontro con un altro orizzonte, sia perché gli specifici contenuti della fede ebraico-cristiana portavano in sé potenti elementi di tensione: l'alterità di Dio e mondo e la libertà. Dire che l'occidente è la terra della libertà è dire che è la terra dove le opposizioni possono diventare laceranti. Ed è proprio la libertà affermata dal cristianesimo, quella della creazione e quella dell'uomo, ad introdurre una netta separazione fra Dio e mondo, una separazione che alla luce dell'esperienza del peccato appare addirittura come scissione; ma d'altra parte proprio il cristianesimo ha affermato una più profonda e prima impensabile unità di divino e umano (quella dell'incarnazione). E' questa un'estrema contraddizione, inimmaginabile nel mondo antico, che segna la cultura e la civiltà europea.

Ma insieme ai dualismi e alle fratture appartiene allo spirito dell'Europa l'aspirazione a comporli e a superarli, ciò che ha dato luogo a molteplici tentativi di sintesi e di contaminazione. E tuttavia bisogna dire che, anche se dualismi e tensioni non sono sempre stati così accentuati come lo sono oggi, soltanto nel sogno e nel desiderio la civiltà europea si è presentata nella forma di un'unità organica. Ricordiamo l'esordio del saggio Europa di Novalis: «Erano tempi belli, splendidi, quando l'Europa era un paese cristiano, quando un'unica Cristianità abitava questa parte del mondo plasmata in modo umano; un unico, grande interesse comune univa le più lontane province [...], un unico capo supremo guidava e univa le grandi forze politiche».

Era un sogno, come lo erano i molteplici progetti utopici che il pensiero europeo ha elaborato, perché nelle diverse fasi storiche il dualismo di stato e chiesa - come gli altri dualismi - ha dato luogo alla prevalenza di un termine sull'altro, mai a una sintesi stabile e organica. E ancor più irrealizzabile è stata la ricorrente aspirazione a ripristinare un'integrità perduta abolendo radicalmente i dualismi. E' questo il senso delle fughe verso l'oriente, verso quella cultura che non sembrava toccata dalle divisioni occidentali, ma è il senso anche dell'idea di una società senza classi, e persino del progetto del nichilismo contemporaneo di una piena adesione alla vita non turbata dalla sovrapposizione di ordini trascendenti.

Ora tutte le critiche, passate e presenti, ai dualismi della cultura e della civiltà europea da un lato sono giustificate e comprensibili, ma dall'altro hanno qualcosa di patetico e di ingenuo, perché mirano precisamente a sopprimere le condizioni dell'identità europea. Così coloro che oggi tornano a proporre un'identità europea semplice, magari nella forma di una civiltà cristiana, a ben vedere non sanno quel che si dicono, perché una composizione riuscita dei dualismi sarebbe sì la fine della crisi dell'Europa, ma con ciò sarebbe la fine dell'Europa stessa. Certo ci si può chiedere se restare nella crisi di identità, di cui oggi l'Europa sembra particolarmente soffrire, non significhi andare incontro a un esito distruttivo. Ma la crisi non va necessariamente pensata in termini soltanto negativi e dissolutivi. Pensarla così significa misconoscere lo spirito dell'Europa. Si può e si deve invece pensarla nei termini di una tensione feconda che deve essere mantenuta senza che sfoci in esiti distruttivi, nei termini cioè di un paradosso, di un nesso in cui ciascuno dei termini opposti riconosce l'altro e se ne alimenta, lasciando la sintesi compiuta all'escatologia. Perché l'altro e l'altrove sono i termini che fanno l'identità europea, un'identità certo precaria, che però non si dà se non in quei termini.

Questo mi pare il quadro in cui si inserisce la nostra Tavola di riflessione su che cosa ne è di Dio in Europa oggi, e anche, se vogliamo ritornare al tema del precedente incontro, su quale sia il futuro del cristianesimo in Europa. Su questo ci diranno i nostri relatori. Come introduzione mi pare ancora opportuna un'osservazione: la deriva nichilistica della secolarizzazione, che qualche anno fa pareva inarrestabile, ora sembra rifluire o almeno diventare più ambigua. E a causa di ciò alcuni si convincono che sia giunto il momento di una rimonta della religione e di una ricristianizzazione. Ma ci dobbiamo chiedere se il compito dell'evangelizzazione, a cui i cristiani non possono e non debbono rinunciare, coincida con quello della cristianizzazione. Si può chiedere alle Chiese di ricomporre l'unità dell'Europa, di ridarle fondamento e anima, di promuovere la formazione di una religione civile che costituisca il puntello ideale della claudicante identità europea, oppure si può chiedere alle Chiese di annunciare l'alterità di Dio, l'amore per l'altro, l'altrove del Regno. Questa mi pare l'alternativa che ci sta di fronte, così come mi pare che soltanto la seconda possibilità, mentre è più fedele al Vangelo, possa anche contribuire a preservare la paradossale identità dell'Europa.

 
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