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CIÒ CHE LO SPIRITO DICE ALLE CHIESE - di Cesare Falletti

 

Il vecchio Giovanni, discepolo diletto del Signore, dall’esilio nell’isola di Patmos, guardava le Chiese sparse nell’Asia minore, un cerchio di città nell’attuale Turchia asiatica, osservandone le lotte, le vittorie, le gioie, le speranze, le fatiche, le cadute, le ricchezze e le povertà. Le sue riflessioni, le sue “parole” in quanto autorità e Padre nella fede, diventano voce dello Spirito, che dice la “Parola” che salva, che ridà vita. Una Parola che entra nella storia e che nasce dalla storia di ciascuna Chiesa. A loro indirizza delle lettere che tutte terminano con questa frase: “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”, ammonimento e invito che deve sempre risuonare in tutte le Chiese che sono unite nell’unica Chiesa, sparse nella “cattolicità”, nel mondo intero.

Lo Spirito parla; nella storia questa parola diventa segno, segno dei tempi, ma ha bisogno di profeti che sappiano dirla, gridarla, personalizzarla.

La Parola di Dio è viva ed efficace – come una spada a due tagli dice la lettera agli Ebrei –; è insieme dentro e fuori della storia, perché sgorga dalla sapienza misericordiosa ed eterna di Dio, conosce il cuore dell’uomo, sempre ugualmente misterioso e malato, e lo svela, ma nello stesso tempo s’incarna nella storia dell’uomo: la storia diventa il luogo della rivelazione, genera una Parola di salvezza che abbraccia presente e futuro.

Tutta la Bibbia è gravida di questo mistero, della Parola viva, vivente e vivificante detta nella storia di un popolo e di tutti i popoli.

Per questo ciò che Giovanni diceva alle sue Chiese poco meno di 2000 anni fa, è ancora una lettura che lo Spirito santo fa nel nostro tempo alle nostre Chiese.

Vorrei dunque guardare la Chiesa le Chiese di oggi attraverso le parole che Giovanni diceva alle sue Chiese, testimoniando di ciò che lo Spirito dice, sottolineando quale voce ha lo Spirito.

 

1 - Lo Spirito è voce della speranza.

Di cosa avevano bisogno quelle Chiese? Di una parola di speranza. L’Apocalisse è il libro della speranza, di quella speranza che non è sogno, fuga dalla cruda realtà per lasciarsi cullare dall’illusione, dal rinvio dello scontro con la fatica di essere uomo, di essere cittadino di una terra, di essere cristiano. L’umanità e la Chiesa vivono traversando prove dure e dolorose.

C’è una ferita profonda nel cuore dell’uomo, che lo mette in disaccordo con se stesso, con gli altri e con Dio, per cui si circonda ed è circondato da inimicizie, conflitti, incomprensioni, scacchi, delusioni. Che il sentimento sia vero o falso, che la colpa sia sua o del rifiuto della Parola di salvezza che essa annuncia, la Chiesa si è sempre vista perseguitata, e ancora oggi soffre.

Lo Spirito dice una parola che è innanzitutto luce che permette l’ordine e il discernimento ed esorta alla speranza che è la principale e spesso l’unica testimonianza del cristiano nel mondo.

Cos’altro può dire lo Spirito alla Chiesa e al mondo oggi, se non che è ancora il tempo della speranza e che Gesù, il Risorto, ha vinto e vince le potenze che continuano ad attaccare l’uomo, la sua dignità, la sua integrità, la sua felicità? Ma anche che sulla terra non potremo mai vedere il Cristo se non con le stigmate della sua Passione, e che non possiamo vivere di lui senza farle nostre ed accettare di presentarci agli uomini più defigurati che trasfigurati, o per lo meno trasfigurati dalla luce che esce dalle piaghe che sfigurano l’uomo agli occhi del mondo. Che Dio libera dal Male o dal Maligno? Che Dio ascolta il grido, la preghiera di suo Figlio e dei suoi figli? Che Dio parla a uomini concreti e che l’ascolto si fa nell’attenzione alla Parola rivelata e che si spiega attraverso i segni dei tempi, si rivolge e parla a uomini di un’epoca e di una società determinata, pur rivolgendosi a tutti gli uomini e a ogni società e cultura.

Ma lo Spirito non dà una consolazione qualsiasi, parole vuote, dolcificanti senza prezzo.

1 - Lo Spirito entra e dà vita alla storia degli uomini e li corregge, li guida e li illumina, per cui solo nell’attenzione concreta e non narcisistica di ciò che viviamo, del mondo che ci circonda, degli uomini e delle donne del nostro tempo riusciamo a discernere la parola dello Spirito, ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Innanzitutto ricordiamo che lo Spirito dice la sua Parola nel mondo e dalla pasta del mondo fa nascere la Chiesa, solidale con lui, carne dalla sua carne, ma anche punto in cui tutte le genti sono chiamate a trovare la loro unità in Cristo e per Cristo in Dio Padre.

2 - C’è un solo maestro e chi ha ricevuto la missione di insegnare e trasmettere la luce non può sostituirsi al Maestro, ma solo leggere e ascoltare le sue Parole là dove le dice e come le dice. In questo senso non si può dire che la Chiesa possiede la verità, perché la Verità le è data man mano che deve annunciarla; tenendo però presente che non c’è altra parola di salvezza che non sia la Parola di Dio che la Chiesa custodisce e annuncia agli uomini del suo tempo con l’”intelligenza dello Spirito”, ma non tenendosi fuori della storia, quasi atemporale. Pa Parola prende carne, la carne degli uomini..

Le sette lettere mandate dall’Apostolo alle sue Chiese non sono dunque documenti storici da archiviare, ma parole da spezzare perché portino speranza al nostro mondo, ai nostri contemporanei, a noi che camminiamo faticosamente cercando di rimanere e diventare fedeli a colui che ci ha chiamati entrando nella nostra vita e offrendoci la sua.

 

Lo Spirito è un aiuto a capire noi stessi e la storia.

Non tutte le Chiese sono uguali e non a tutte lo Spirito tramite l’apostolo dice le stesse cose.

Se la Verità è immutabile - Gesù Figlio di Dio morto e risorto -, le parole per dirla non possono essere uguali dappertutto, in tutte le regioni o situazioni, in tutte le Chiese. Ci sono quelle che stanno bene e quelle che soffrono, le ricche e le povere, le più fedeli e quelle che patteggiano con l’infedeltà, l’idolatria, l’errore.

La parola che apre le lettere è “Conosco” le tue prove, le tue difficoltà, le tue vicissitudini.

Nel nostro mondo tanto autosufficiente e tendenzialmente farisaico, cioè sicuro di essere nel giusto, mondo in cui c’è un singolare bisogno di essere visti, riconosciuti, stimati per poter riconoscere la propria identità, il fatto che Dio conosca la nostra storia può dare l’impressione di un ulteriore spettacolo e di un nuovo pubblico che applaude. Ma quando Dio dice conosco, vuole dire che scruta “il cuore e i reni”, il segreto dell’uomo e ne vede la profonda infermità. Dio tiene conto della nostra identità più profonda, conosce la situazione dell’America latina come quella del Nord America, delle minoranze cristiane dell’Asia e dei cristiani dispersi in terra dell’Islam, il faticoso cammino della Chiesa europea.

Oggi lo Spirito dice alle Chiese che lo sguardo di Dio è ancora attento all’uomo, non per godersi lo spettacolo e compiacersi del successo della sua creazione, ma per salvare. Sembra banale e ovvio, ma non lo è così tanto: l’uomo ha bisogno di essere salvato perché da solo non può farlo e la parola che lo salva è “conosco”. Gli uomini hanno bisogno di sapere che Dio conosce il loro cuore malato e ferito.

Chiunque ha fatto l’esperienza di una angoscia profonda, della depressione, della disperazione del futuro, sa quale valore può avere questa parola quando qualcuno dice: “Lo so, lo capisco, conosco”.

Ma questa parola mette a anche a nudo tutta l’ipocrisia e la falsità di chi crede che la vita sia “essere visti” e non “essere conosciuti”.

Il nostro mondo occidentale gioca sull’immagine e si permette di falsificare la realtà, di truccare la verità. La parola “conosco” è terribile, perché mette a nudo e mostra la vacuità di tanto chiasso. L’insistere sulla visibilità della Chiesa non è una cosa errata, anzi..., ma certo comporta dei rischi di ambiguità e di falsità.

 

Lo Spirito è un aiuto alla conversione.

L’ultima delle sette lettere è per il nostro mondo occidentale molto parlante; è indirizzata a una città ricca, benestante, rigogliosa e orgogliosa. Ad essa è diretta quella terribile parola: “Poiché non sei né caldo né freddo, ma sei tiepido, ti vomiterò dalla mia bocca”. Per una generazione in cui apparire alla televisione, salire su un podio, essere visti, avere degli ammiratori è il massimo bene, questa parola di rigetto è dura.

La Chiesa di Laodicea diceva: “Ho, sono ricco, faccio, non ho bisogno di nulla”, ma a lei è detto: “Non sai di essere infelice, miserabile, povero cieco.”

Io mi auguro di sentire un giorno i cristiani e i loro pastori in particolare dire: “Sono miserabile, povero, cieco” e non solo “Ho ragione, faccio il bene, non ho bisogno degli altri; e il mondo è cattivo perché non ci segue, si allontana, si disperde.”

Eppure è a questa Chiesa apparentemente trattata tanto duramente dallo Spirito che sono dette le più belle parole, quelle dell’intimità di una cena comune, dello stare seduto sul trono del Vincitore Gesù.

Dio non è contro nessuno e chiama tutti, anche coloro che si sentono autosufficienti, alla cena con lui, bussa a tutte le porte, chiama, invita, corregge. La nostra società non è meno amata, ma è più rimproverata, con accenti più duri, perché non vuole essere conosciuta, ma solo vista e ammirata e Dio non sta sulle tribune a fare tifo, ma scende in campo per allenare veramente al gioco giusto.

I cristiani, quelli che vogliono vivere seriamente la loro fede, sono sempre tentati di lasciarsi scandalizzare da ciò che li circonda e di parlarne male. Ma il rischio è di essere manichei, di porre tutto il male in certi modi di fare, in certe manifestazioni o spettacoli, nell’esibizione di sé, e non ascoltare ciò che lo Spirito dice attraverso le ferite presentate come gioielli o i gioielli che sono ferite. “Voi condannate e fate lo stesso!” ci dice lo Spirito.

Quale parola dunque può dire lo Spirito alle Chiese?

Tornate a Dio, fidatevi di lui e lasciate perdere tante lotte, tante apparenze, tanta arroganza. Rivedete le vostre sicurezze; non sono nell’essere considerati, rispettati, temuti, o nell’avere tanti nemici e tanto onore. Queste sono cose del mondo.

Gesù ci ha insegnato ad essere uomini veri, non personaggi mascherati e sostenuti dalla prepotenza, dalla falsità, dalla violenza, dalla maleducazione e dalla volgarità. Gesù è sincero e cortese, attento e affettuoso, vero e umile, pronto a servire senza pretese di essere servito, è Maestro che insegna con pazienza, è Re che muore per i suoi sudditi.

Rischiate di fidarvi di me! Comprate da me oro purificato.

Rischiate la preghiera, apparentemente inutile, ma presenza docile, affettuosa e fedele al Dio della Vita; rischiate l’adorazione che dà la giusta posizione dell’uomo davanti al suo Dio che lo ama e lo vuole in una grande dignità, ma una dignità di comunione e non di potere, prepotenza o autonomia da tutti e particolarmente da Dio; rischiate la libertà dei figli di Dio, che non è capriccio o istinto a briglie sciolte, ma anch’essa è per la comunione nella carità divina e umana. Rischiate la solidarietà che apparentemente costa, ma fa crescere tutti gli uomini compresi noi.

Non facciamo forse fatica a comprare i prodotti equosolidali, perché non ci sembrano avere la qualità di quelli delle multinazionali? Immaginiamo quale fatica nel fidarci di una economia della carità, piuttosto che del profitto. Eppure quante banche sono nate con scopi umanitari!

Le nostre Chiese hanno qualcosa da dire e da fare in questo campo, delle scelte coraggiose, rischiose, che non si fondano sui lingotti d’oro e sull’arricchimento, sulla potenza e sull’autorità mondana, ma cercano l’oro purificato dal fuoco della carità.

Di fronte all’arroganza dei Laodicesi, e di tanti cristiani (lascio perdere coloro che non si interessano alla Parola di Dio), preti e vescovi compresi, andiamo a rifugiarci in due altre Chiese, piccoline, povere e deboli.

La Chiesa di Smirne è umanamente povera, ma lo Spirito dice che è ricca, la Chiesa di Filadelfia è debole, ma supererà la lotta dell’ora della tentazione. Sono due Chiese che in mezzo alle persecuzioni, hanno resistito, hanno vinto perché non si sono lasciate andare al compromesso, come altre che hanno accettato di venire a patti con Baal, dio della terra, che hanno accolto falsi profeti che dicevano cose comode, hanno accettato la menzogna, dandole la bella apparenza della necessità, dell’utilità, dell’adeguamento ai tempi e alla società.

Certo le due piccole Chiese soffrono, sono calunniate e perseguitate, non possono alzare la voce, ma sono le due Chiese nelle quali Cristo vince e che vivranno, in silenzio, ma vivranno e porteranno avanti il Vangelo. “Per quanto tu abbia poca forza, pure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome” è detto alla Chiesa di Filadelfia.

Cosa dice lo Spirito alle nostre Chiese occidentali e abbastanza potenti, che si lamentano delle persecuzioni che le hanno scalfite poco, in cui hanno perso solo qualche bene terreno, che si sono subito rifatto? Di guardare le nostre Chiese sorelle, più piccole, più deboli, più perseguitate. I nostri fratelli della Cina, della Palestina, del Sudan, dell’Irak e di tanto altri paesi dove muoiono letteralmente di fame, dove non possono parlare, dove le chiese sono bruciate, perché sono loro che portano avanti il Vangelo.

Quanto si ripete la parola lanciata da Giovanni Paolo II il 22 Ottobre 1978, giorno del suo insediamento sulla cattedra di San Pietro: “Non abbiate paura!” Non dobbiamo avere paura non perché vinceremo la società con la politica, con la forza o col denaro, o a forza di gridare, protestare e lanciare interdetti, ma non dobbiamo avere paura di essere piccoli e poveri, senza sicurezze e garanzie; non dobbiamo avere paura di non contare troppo nella società, di non essere ascoltati, perché la Parola di Dio è inarrestabile e conquista silenziosamente il cuore degli uomini. Lo Spirito ci chiede di essere coscienti delle nostre paure e dar loro un nome per poterle confrontare con il Vangelo.

Lo Spirito ci chiede di convertirci, perché in teoria crediamo che quello è il Vangelo, ma non al punto di fidarci e di essere lieti nella diminuzione, forti nella debolezza, fieri, ma non arroganti nella denigrazione.

 

Lo Spirito è un aiuto ad amare.

La storia della Chiesa è una continua sfida per riportarci a fidarci della Risurrezione, piuttosto che attaccarci all’accanimento terapeutico per sopravvivere come un moribondo in coma ingombrante con un’apparenza di vita.

Per questo ciò che lo Spirito domanda dentro questo clima di conversione è certamente un annuncio vero, chiaro, gratuito, umile che rispecchi la grande riflessione di San Giovanni: “amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio…in questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Unigenito Figlio nel mondo, perché possiamo avere la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi…noi amiamo perché egli ci ha amati per primo”. 1 Gv 4,7…19.

Nella prima lettera, quella agli Efesini, Giovanni parla di apostoli falsi e menzogneri e rimprovera di aver dimenticato l’amore “di prima”.

Giovanni Paolo II ha molto fatto e detto perché la Chiesa, i suoi ministri e tutto il popolo santo di Dio prendesse coscienza dell’urgenza della conversione, che può iniziare dalla domanda di perdono per il passato, ma è soprattutto un vivere oggi la novità dell’amore di Dio e in tal modo annunciarlo vitalmente. Dimenticare l’amore di prima significa non volgersi più alla pura sorgente dell’amore manifestato in Cristo e che lo Spirito santo continua a soffiare sulla Chiesa.

Ma questo amore con cui la Chiesa serve l’umanità, questo amore di Cristo è: per primo, cioè gratuito e non dipendente dalla risposta, senza lamenti e senza pretese. E dono gioioso e fervente di coloro che credono nella Risurrezione e sono portatori di speranza in un mondo di tenebre, che non accolgono il Verbo.

La nuova enciclica del papa Benedetto ha una lunga prima parte che mette a fuoco cos’è l’amore e il suo legame con Dio; ogni amore è come un blocco di marmo che contiene la bellezza della statua. L’amore di Dio non è solo un modello, è ciò che dobbiamo e possiamo far scaturire dagli amori umani di ogni genere, anche quelli che ci sembrano meno belli o forse addirittura brutti e corrotti. E’ impossibile che in tutte le azioni dell’uomo non sia contenuta una scintilla divina, la somiglianza con Dio, che lo Spirito continua a voler liberare dalle croste del peccato.

L’amore divino è quell’amore umile e mite, che Gesù ci propone di imitare e che è stato il suo modo di annunciare la Buona Novella ai poveri, di riscattare gli oppressi e liberare i prigionieri. “Senza spegnere il lucignolo fumigante”, quella piccola fiammella di fede che brilla nel fondo del cuore di tanti distratti o addirittura apparentemente nemici della Chiesa, ma la Chiesa non ha nemici ha solo figli, che attende con ansia e che va a cercare sedendosi sfinita sul bordo del pozzo dei pagani, degli adulteri, degli sbandati, nell’ora in cui il demonio di mezzogiorno miete le sue vittime, scoraggiando gli apostoli e gli uomini di buona volontà e rendendo irraggiungibili i “lontani”.

E’ un amore assoluto, libero da compromessi e calcoli, generoso e forte nella fede.

Oggi la Chiesa ha avuto la grazia dello Spirito di essere rimessa in stato di Missione (la così detta fine della cristianità), non in terre lontane, ma dovunque essa è. Non possiamo più dividere il mondo in fedeli e lontani, non ci sono più “i nostri”. La Chiesa vive dovunque in mezzo ai pagano o ai figli di Dio dispersi ed è e rimane un punto di salvezza e di unità.

Ricordiamo la splendida affermazione di Paolo agli Efesini: “Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito. Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef 2,14-19).

E’ la Risurrezione di Cristo in cui crediamo, di cui ci fidiamo, che misteriosamente abbraccia gli uomini, anche i più distratti, i pubblicani e i peccatori, le prostitute e coloro che sono perduti.

Lo Spirito spinge le Chiese ad adorare il Risorto per farlo vivere nel mondo, ad annunciarlo con una testimonianza gratuita e gioiosamente sorpresa, ad aprire gli occhi per vedere dove e come il Signore opera. E’ l’esperienza dei primi cristiani: non una falsa illusione, ma il modo di agire dello Spirito.

Anche se talvolta non rispetta i nostri piani pastorali!

Cosa dice lo Spirito alle Chiese? Di essere come Maria: liete portatrici di Gesù.

 
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