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La Sapienza Grida Per Le Strade - Mons. Cesare Massa

 

Via S. Michele 12
Marzo 2006

“LA SAPIENZA GRIDA PER LE STRADE”
                                                   (Pr 1,20)

Penso che se appena si aprisse la Bibbia a caso, qualunque pagina avrebbe un riferimento alla strada. Perché tutta la storia di Israele vi è riconducibile: essa consacra questo popolo come un popolo nomade. Posto sulla strada al seguito di Abramo, esso non conoscerà tregua al proprio cammino. Sarà questa la vicenda di Isacco, di Giacobbe e dei suoi figli dopo la vendita di Giuseppe “ai venditori di resina, balsamo e di laudano che andavano a portare in Egitto” (Gn 37, 25). E poi la vicenda dell’esodo dall’Egitto con Mosé quando Dio “non condusse il popolo per la strada del paese dei Filistei, benché fosse più corta…ma per la strada del deserto verso il Mare Rosso” (Es 13, 17). Legata alla memoria dei Patriarchi e a quella dell’Esodo, la strada diventerà un sinonimo del cercare e del seguire Dio, camminando, secondo l’esempio di Mosé, “come se vedesse l’invisibile” (Eb 11, 27) fino a scomparire con lui come Enoc, il quale “fu trasportato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più perché Dio lo aveva portato via” (Eb 11, 5). E un luogo della preghiera:”Fammi conoscere la strada da percorrere” (Sal 143,8), “Lampada per i miei passi la tua parola, luce sul mio cammino” (Sal 118,1). E una parabola della preparazione della venuta del Signore: “Appianate nella steppa la strada per il nostro Dio”( Is 40,3)…”spianate, spianate le strade” (Is 62,10).

I Vangeli dell’infanzia conoscono le strade percorse da Maria per visitare la cugina Elisabetta, anch’essa avvolta dagli annunci misteriosi di Dio e quella per Betlem, “mentre per lei era giunto il tempo del parto” (Lc 2,6). E quella per Gerusalemme “per offrirlo al Signore secondo la legge del Signore” (Lc 2, 22). Meravigliosa per l’immaginazione della fede la strada percorsa dai Magi  “giunti dall’oriente”(Mt 2, 1) e felice per l’intelligenza provvidente di Dio la strada del loro ritorno irridendo il progetto dei potenti di Gerusalemme (Lc 2, 12). Anche la strada della fuga in Egitto sarà provvidenziale per evitare la spada di Erode e “perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho richiamato mio figlio” (Mt 2, 15). E la strada percorsa e ripercorsa per ritrovare il figlio dodicenne tra i rabbini del tempio “intento nelle cose del Padre suo”? (Lc 2, 49)

La vita missionaria di Gesù è trascorsa sulle strade, “facendo del bene e guarendo”. La parabola del Samaritano compassionevole (Lc 10, 28) può essere la sintesi di questo trascorrere e di questo guarire. Lo scenario è costituito da una strada: quella che scendeva da Gerusalemme a Gerico, cioè dalla città della gloria di Dio alla più bassa delle bassure della terra. Su quella strada in discesa c’è “un uomo”. Nascosta in questo anonimato può ben esserci l’umanità intera. L’uomo “incappò nei briganti” e in questo plurale possono ben celarsi i nomi delle forze misteriose che insidiano da sempre l’umanità: lo spirito della menzogna, della divisione e del potere. “Lo spogliarono”: forze che hanno la capacità di rendere disumana la vita spogliandola di quella integrità che era la gloria dell’uomo avuta da Dio fin dal principio. “Lo percossero”: forze che feriscono le facoltà del pensare e dell’agire, diminuendo quella capacità di libertà che resta il distintivo più alto dell’essere dell’uomo. “E poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto”: spogliata, ferita e poi abbandonata. Così l’umanità si ritrova “sola” sulla sua strada, dentro una solitudine che sa di morte e dove resta solo uno spiraglio di salvezza: “semivivo relicto”.

La salvezza viene da qualcuno che passa di lì “per caso”. Il primo a passare è un sacerdote, un uomo religioso che ha compiti e doveri verso Dio e verso il suo prossimo. Anche lui sulla strada della vita “in discesa”. Vede il disgraziato che nemmeno lo invoca: meglio andarsene  scansandolo: “passò oltre dall’altra parte”. Dove l’oltre è rappresentato forse dai doveri del culto e l’altra parte è data dalla garanzia della propria sicurezza di sano. Viene poi un levita: dunque un sacerdote della religione israelitica; le Scritture dovrebbero avere peso sui suoi passi e, prima, chiarezza ai suoi occhi. Ma la reazione non si confonde con quella dell’uomo religioso: “lo vide e passò oltre”.

A questo punto, la parabola presenta un avversativo forte “invece”, poiché giunge lì come di sorpresa uno che non avrebbe le carte pulite per uno sguardo d’amore, per una decisione solidale, per una fatica compassionevole. E’ un Samaritano: un eretico rispetto alla fede di Israele, un emarginato, uno straniero. (E Gesù lo è per i dottori della legge che lo interrogano su chi sia il prossimo.) Anche il Samaritano Gesù è “in viaggio”, venuto dagli spazi di Dio a farsi solidale con i cammini degli uomini, Ma lui, ”passandogli accanto e vedendolo, ne ebbe compassione”. La differenza sta in questo sentimento che muove il cuore e da lì tutto l’essere. “Gli si fece vicino”: la prossimità è il gesto molte volte debole, fragile, persino impotente che fa di ogni uomo un “prossimo”. Poi l’amore è inventivo: “gli fasciò le ferite versandovi olio e vino (l’uno lenisce, l’altro fortifica : saranno la divina parola con la sua dolcezza e con la sua saldezza?) “Poi, caricatolo sul suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui”: chi nei primi secoli della Chiesa ha commentato questa parabola ha genialmente interpretato queste espressioni, vedendo nella Croce su cui il Cristo sarà inchiodato, il giumento che porta la salvezza di Dio alla umanità. E la locanda è la Chiesa e la cura dell’umanità spogliata, ferita e abbandonata è il compito di quanti hanno parte con essa. Di più: “Il giorno seguente, estrasse due danari e li diede all’albergatore, dicendo abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno”. Non è così certo che i due denari indichino i due sacramenti maggiori della vita cristiana: il battesimo e l’eucaristia, ma è certo che l’albergatore sia Pietro e che il suo compito sia quello di prendersi cura del mondo, di spendersi senza risparmio sicuro che tutto sarà ripagato nel “giorno del ritorno del Signore”.

La strada: quale è più evocata nella devozione dei cristiani se non la “via crucis”? E’ la strada che Gesù ha percorso dopo la cattura nel giardino di Getsemani. E’ la strada affrontata da Gesù “a muso duro” dopo il terzo annunzio della passione, quando i discepoli non capivano e avevano timore a interrogarlo e la madre dei figli di Zebedeo chiedeva un posto regale per i suoi due figli. Sulla strada della sua passione, Gesù non chiede la compassione di alcuno. Egli sa quale sia il valore di questo sacrificio, l’atto di questo morire per amore, l’evento fondativo dell’attrazione universale a Lui “quando sarà innalzato tra cielo e terra”. Tuttavia, qualcuno gli verrà incontro.

Si tratta di un tale Simone di Cirene “che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo” (Mc 15, 21). Egli viene obbligato ad aiutare Gesù a portare la croce. Diventa così un samaritano non anonimo sulla strada dei dolori del Buon Samaritano del mondo: la sua, forse, non è nemmeno compassione e tuttavia può essere pensata così anche se costretta, come lo è ogni partecipazione non voluta alla sofferenza del Cristo, quando si é colpiti in modo grave da un dolore che reca con sé la prospettiva di una catastrofe.

Secondo l’evangelista Luca (23, 27), Gesù incontra poi sulla strada del Golgota anche un gran numero di donne “che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui”. E’ questa una compassione sincera e tutta femminile, quando è impossibile piegare i decreti e gli eventi dei potenti ed è solo possibile “manifestare” un dolore se non piangendo. E’ una compassione insufficiente, che ha la qualità della naturalezza ma non va alla radice della causa generatrice di quella violenza che fa gridare: “non piangete su di me, ma su voi stesse e sui vostri figli”, cioè, andate col cuore al cuore dell’iniquità umana per capire di quale salvezza l’uomo abbia bisogno per la propria felicità: che Dio si sacrifichi per l’uomo in un gesto di compassione infinita.

Il “discepolo che Gesù amava” conosce invece il respiro della vera compassione e ne scrive riferendo anche la presenza della “madre” ai piedi della Croce (Gv 19, 25). Essa non è accasciata. “Sta”: è salda per una partecipazione che è totale a motivo della sua maternità amante e della sua adesione all’opera del Figlio cui è stata associata dal progetto di Dio e dalla sua fede credente. Ed è umana: non neglige i dinamismi del cuore, ma non ne è –come capita a noi- sopraffatta. Sulla strada della croce il buon Samaritano Gesù conosce una scarsa compassione, se non dalla Madre: solo Lei sa “patire insieme”.

 E sulla strada del Risorto? Lì, sulla strada di Emmaus, il buon Samaritano, anche qui sconosciuto, guida i passi dei due discepoli delusi e fuggitivi che parlano di quanto è avvenuto a Gerusalemme. Ne parlano con molte parole e più ancora “col volto triste” (24,27). E camminando con loro, fa l’esegeta di se stesso “cominciando da Mosé e da tutti i profeti”  fino a quando, al termina della giornata e del cammino “fa come se dovesse andare più lontano” suscitando l’invocazione della Presenza. Anche qui, il gesto della compassione di Gesù, il Risorto, è quello di entrare in una locanda, la Chiesa, e lì di manifestarsi nella comunione di un pasto fraterno. L’Eucaristia è ben questo gesto della compassione di Dio per la vita del mondo: come dice san Giovanni nel suo Vangelo.

E per la vita del mondo  parte la missione cristiana. Gli Atti degli apostoli sulle prime sembrano indugiare nell’attesa del dono dello Spirito e poi nella costruzione della comunità, nella ricerca delle sue  qualità fondative, nella letizia delle prime conversioni, nella pazienza relative alle prime grandi prove, nella ricerca delle condizioni dell’essere discepoli. Poi, lo Spirito di Dio li porta sulle strade: così sarà per Pietro il cammino verso Antiochia e poi verso Roma. Così  per Filippo ci sarà sulla strada “che scende da Gerusalemme a Gaza” l’angelo del Signore che lo spinge al seguito di un carro dove lo attende uno che desidera l’informazione decisiva: “l’annuncio della buona novella di Gesù”, l’etiope, funzionario di Candace, regina di Etiopia”(At 8, 27). Così sarà per Saulo Paolo, il grande navigatore e camminatore per il Vangelo di Cristo. Di lui possiamo qui  dire soltanto in sintesi che la diffusione del cristianesimo si deve a lui, ai suoi passi di araldo del buon samaritano del mondo. Sicché, quando sarà costretto a fare l’elogio di se stesso, di fronte a chi lo contraddice, ricorrerà al ricordo delle strade percorse e dei pericoli trovati. Dirà: “tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli sul mare, pericoli nella città, pericoli nel deserto; fatica e travaglio..” (2 Cor 11, 26)

E per noi che siamo i discepoli di quelli che, all’esordio del cristianesimo, venivano chiamati “i seguaci della ‘via” (At 9,2)? Può avvenire di perderla questa via come quando ci si addentra in un bosco affascinante e sconosciuto e si rischia di andare per sentieri sdrucciolevoli (Ger 23, 12) o quando ci si ritrova tra innumerevoli tornanti e la segnaletica si fa confusa o quando per qualche malore interiore sembra che Dio stesso ci abbia sbarrato la strada (Gb 19,8). Allora ci viene in soccorso la figura di Bartimeo, il cieco “che sedeva lungo la strada” (Mc 10,46) quando non resta che dar corda alla voce della invocazione. E, resi ancora una volta luminosi dall’agire di Cristo, percorrere le strade misteriose della ricerca di lui l’Amato del mio cuore” (Ct 3,2).

 
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