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Testimonianza su Don Secondo Pollo - Mons. Cesare Massa

 
Duomo di Vercelli
26 Dicembre 2005


L’Arcivescovo mi ha chiesto di tenere quest’anno una “testimonianza” nel corso di questa liturgia in onore del beato Secondo Pollo. Io lo ringrazio di questa fiducia che mi dà l’opportunità anche di un esame di coscienza personale oltre che la commozione di un ricordo prezioso. Chiedo scusa fin da ora se alcuni dettagli non sono proprio congeniali con il genere dell’omelia. Ricorderò anche per nome le persone da me conosciute nella cerchia di don Secondo. E penso che sia bello, almeno una volta che i loro nomi echeggino in questa cattedrale e nel corso di una celebrazione della Divina Liturgia.

Anni 1936 – 1940, 1936 quando avevo dodici anni, segnati da unfatto: la Tregiorni Giovanile a Ferragosto di quell’anno per la campagna annuale “Forti e puri” tenutasi al Collegio San Giuseppe. 1940 quando avevo sedici anni e questi sono legati ad un altro fatto: un epico viaggio notturno con don Pollo, a piedi, nella nebbia e nella neve sulla strada che da Torino porta a San Mauro Torinese, onde raggiungere la casa dei Padri Gesuiti per un corso di esercizi spirituali organizzato proprio nel periodo post-natalizio.

Innanzitutto, vorrei dire in poche parole il fondale storico. Penso alla società italiana di quegli anni ’30. Oggi: la società italiana è dominata dalla complessità, dal movimento, dalla interazione. Quella degli anni ’30 mi sembra, ora da qui, invece molto semplificata. O forse, senza tuttavia dare giudizi di valore, sarebbe meglio dire “statica” o “chiusa” o “autarchica”.

Anche la Chiesa, definita come una “società perfetta”, viveva calma e ripetitiva dentro le sue tradizioni consolidate, i suoi riti suggestivi e le sue stagioni liturgiche. Anche don Secondo Pollo, come noi, era lì. L’Autorità diocesana era rispettata e anche venerata: solenne, solitaria, con un alone di alta e degna sacralità. Il Seminario aveva un corpo insegnante di tutto rispetto. Vi erano uomini versati nella erudizione storica e nelle lingue e letterature classiche. E, a quanto mi si dice, con una teologia sana me senza grandi aperture. La spiritualità era quella apostolica militante dei gesuiti piemontesi, con un tocco piuttosto marcato di moralismo.

Entro questo ambiente don Secondo ha portato la sua formazione spirituale che non fa eccezione rispetto alla norma e alla tradizione. Anche lui ignaziano, anche lui legato ad una ecclesiologia della società perfetta, anche lui teologo secondo le linee della prudenza anti modernista. Lui, tuttavia, porta in questo ambiente la novità di una apertura spirituale soprattutto verso il mondo laicale e, in specie, a quello giovanile; una gioiosità dello spirito, così come viene dai suoi giovani anni, dall’entusiasmo delle cose che si possono realizzare insieme nelle parrocchie e oltre i livelli parrocchiali e dalla ampiezza di orizzonti a cui dispone anche il suo soggiorno romano di studente . E’ in questo clima che incontro don Secondo Pollo in quel luglio del 1936.

Devo ricordare qui la delegata dei fanciulli cattolici della mia parrocchia di San Lorenzo, la signorina Beatrice Roncarolo che mi sopportava nelle sue schiere di fanciulli, avendo io superato i dieci anni statutari. Un giorno del luglio 1936 mi disse che era giunto a Vercelli un giovane prete che si chiamava don Secondo Pollo. Così andai in Seminario. La Maria e il Carlo Pusineri, che allora custodivano la portineria del Seminario, diedero mano ad un trabiccolo di marmo fisso al muro su cui ruotava un’asta metallica che dava suono alla campana nel grande cortile juvaresco. Ci dissero di oltrepassare il primo cortile, poi salire lo scalone posto alla sinistra e lì avremmo trovato il prete che cercavamo. (Dico questo al plurale perché era con me Luigi Demartino, mio compagno di studi, e anche lui come me alla ricerca di un senso da dare ai nostri passi giovanili.) Lo trovammo infatti lì in conversazione con un giovane professore del nostro stesso istituto, il professore di filosofia Ermenegildo Bertola. L’impressione che provammo era facilmente riscontrabile: era veramente, come disse la signorina Beatrice, un prete “nuovo”. L’affabilità prese tutta la scena di quel mondo solenne, severo e, allora, anche un po’ tetro. La giovane età sorrideva sui gesti vetusti e l’intraprendenza indicava vie mai praticate.

Ci disse che ad agosto, nei giorni del Ferragosto, ci sarebbe stata una cosa che si chiamava “tregiorni”, con alcune conferenze sul tema “forti e puri”, predicate da don Ettore Pozzoni di Milano e che tutto si sarebbe concluso con un “gioco dell’oca” alla periferia della città tra i boschi del Sesia e che bisognava organizzare, nella sede dell’iniziativa che era il Collegio San Giuseppe, una “fiera del libro”. Ci mettemmo a disposizione di quelli più grandi già impegnati nella organizzazione dell’incontro: il Carlo Caligaris, il Walter Nasi, il Giuseppe Benedetti. Poi, a Tregiorni iniziata, ebbi la possibilità di conoscere altre persone con cui avrei avuto un lungo percorso di amicizia: il Mario Agosti di Gattinara, il Piero Osenga di Trino, il Giuseppe Viretto di Moncrivello, il Pasteris Gioachino di Cigliano, l’Aldo Garrone di Serravalle, il Giuseppe Bertinotti di Crevacuore. Di tutto mi resta come una fotografia il momento del ritorno dal “gioco” che si concluse lungo le vie del rione Isola fra gente stupita nel vedere quello spettacolo nuovo: una cinquantina di giovani (o forse più) lieti a cantare con il loro prete la letizia della vita e della loro fede in un modo più vivo e attraente.

Questa frequentazione di don Pollo fu breve, quanto breve fu la sua attiva permanenza a Vercelli: quattro anni, forse meno. Quanto bastava per dar forma a varie iniziative, come a carnevale, la visita ai ragazzi handicappati all’Istituto Sant’Eusebio. Come l’ora di adorazione eucaristica mensile nella cappella del Collegio San Giuseppe, allora tenuto dai fratelli delle scuole Cristiane. Per sollecitare la presenza dei giovani delle varie associazioni parrocchiali giovanili della città, don Pollo aveva fatto stampare cartoline su cui di volta in volta bisognava scrivere data e indirizzo e questo fu il nostro compito pomeridiano per molto tempo: lui le firmava una ad una e noi s’appiccicavano i francobolli e si portava il tutto alle regie poste.

Potevamo, frequentandolo così assiduamente, controllare anche i suoi tempi di preghiera sorprendendolo molte volte in ginocchio nella cappella del seminario, notare sotto lo sguardo di un grande e vistoso crocefisso il calendario dei suoi molti impegni e –dalla lunga stabilità di libri e carte sopra il letto- le notti vegliate o trascorse col capo reclinato sulla poltrona o sul tavolo di lavoro.

Dopo l’adorazione mensile, verso le dieci di sera, era bello restare con lui –come avvenne molte volte- a conversare in gruppo davanti ai cancelli del seminario a commentare i fatti del giorno, come fu a riguardo della visita di Hitler a Firenze e a Roma. Fu lui che ci aggiornò sulle reazioni del cardinale Elia Della Costa e di Pio XI che si fecero ambedue esuli dalla loro città episcopale per protestare contro “l’ostentazione di croci che non erano quelle di Cristo”. Anche Credere-studenti, il giornale dell’associazione, aveva dato un forte rilievo a questa protesta: è per me solo un dettaglio di ricordo, un piccolo seme che mi ha accompagnato nella mia insopportazione di ogni fanatismo politico.

Nei pressi dell’Arcivescovado, dove sorse poi la stamperia del giornale diocesano e dove oggi è situata la casa del clero proprio dedicata al beato don Secondo Pollo, c’era a quei tempi un “teatro” che prendeva nome “D’Angennes” come la omonima piazza, in onore del Vescovo liberale dell’Ottocento, teatro attivo anche prima dell’arrivo di don Pollo. Egli volle rinnovarlo nei programmi e nelle strutture sceniche: lì venivano le filodrammatiche giovanili più applaudite dai vari paesi. Sempre le rappresentazioni erano seguite dalla “farsa” normalmente proposta da un duo celebrato e divertentissimo: quello formato da Carlo Caligaris e da Fiorino Graglia (non ancora prete). (Feci anch’io ridere più tardi ad una festa di ragazzi in un duo con Teresio Castelli.)

L’Aldo Conti era l’incaricato delle filodrammatiche e anche della ristrutturazione degli scenari ed io lo aiutavo come garzone: gli tenevo le scale, gli passavo i chiodi e le stoffe. Aspettavamo così il passaggio di don Secondo, quando certe sere tornava dalle riunioni che si tenevano lì vicino in via Dal Pozzo, sotto i tetti della parete sinistra della chiesa di Santa Maria Maggiore. Veniva a portare un saluto e sempre un tratto di serena letizia.

La letizia più strepitosa avvenne comunque nella casa di Santa Maria Maggiore, dove era parroco mons. Giovanni Picco e dove era la sede della associazione Mario Fani. Fu una festa con tratti un po’ goliardici, (io lo accompagnavo) sottolineati dal buon umore di tutti e dalla intelligente riflessione che ne trasse don Secondo per il pensiero della “buona notte”. Forse lì c’era già come vice-parroco don Virginio Perotti, ma di sicuro c’erano Guido Reis, Luigi Corradino, Giuseppe Benedetti, Ermanno Bucero, Luciano Lavarino, Lino Cossetti, Giovanni Volpara, Teresio Castelli. Persone che hanno contato nella vicenda religiosa e culturale vercellese e tutti impegnati fin dall’inizio a onorare la memoria del prete “grande” della loro gioventù.

Questa funzione dell’”accompagnamento” da parte mia a don Secondo Pollo si ripeté più volte e credo che in questo modo don Pollo mi volesse vicino perché era l’unica cosa che sapeva e poteva fare uno come me, appena uscito di ragazzeria, in una età stupida e con supporti familiari pericolosamente insufficienti. Una volta passò dal negozio dei miei in corso Libertà per prendermi con sé fino a piazza Mazzini dove era il comando della gioventù Italiana del Littorio. Andava, mi disse a protestare contro il provvedimento che proibiva ai giovani dell’Azione Cattolica di portare il distintivo dell’associazione. “Tu resta qui e prega.”

Una sera andai con lui a Biandrate per quell’altra sua invenzione che era la “Via Crucis” predicata dai giovani lungo le strade del paese. Ed è qui che conobbi il Pierino Uslenghi, che diventerà diacono della chiesa di Novara e che mi confiderà più tardi di aver avuto l’esortazione di don Pollo a pregare affinché il “Cesarino diventasse prete”.

“Tu resta qui e prega”: me lo dirà l’ultima volta all’ombra della torre campanaria del Duomo, prima di salire all’udienza dall’Arcivescovo Montanelli, quando probabilmente si decideva la sua scelta di cappellano militare.

Dopo la sua morte ho scritto qualcosa di lui in varie circostanze, ma sempre con una sorta di reticenza che invano ho cercato di spiegarmi. Non era per un suo rimprovero che , a ragione, egli mi fece a proposito di un giudizio affrettato e ingiusto nei riguardi dell’Arcivescovo che invece stimavo e ammiravo. Forse era la visione della sua vita proiettata in luoghi che per me erano già fuori del mio immaginario cristiano. Ho poi sottoscritto la mia deposizione nel suo processo di beatificazione, sicuro di rendere onore alla verità della sua santità, così come ho sempre creduto.

Ho cercato di capire le linee portanti della sua spiritualità in una relazione pubblica assieme all’amico Piero Masuello, ma questa mia sorta di reticenza è rimasta anche quando è venuto il Papa Giovanni Paolo II e solo allora mi è parsa dissolversi quando mi è sembrato di capire in un modo nuovo (almeno per me), la figura e la vicenda di don Secondo Pollo. La figura è quella del “maestro spirituale”. Decisivo, eroico, significativo è stato il suo sacrificio come cappellano militare: così è stato giustamente ricordato. Ma la sua vicenda, quella lunga, fondamentale e interrotta del prete diocesano potrà essere approfondita, per la crescita spirituale della gente della sua terra. E’ come se don Pollo abbia interrotto un “lavoro” e oggi occorre che lo continui. Bisogna essere riconoscenti a chi, come Emilio Raisaro e Giuseppe Benedetti, assieme a tanti altri anici, hanno così ben operato in onore di questo nostro grande e santo amico. Personalmente credo che in futuro la nostra diocesi, poiché ormai don Pollo appartiene a tutta la Chiesa diocesana, debba indagare sulla sua figura di “maestro spirituale” e sulla sua spiritualità cristocentrica , che mi appare sempre più di un cristocentrismo eucaristico, da cui anche l’intuizione ecclesiologica, che il Concilio affronterà, quella relativa alla posizione dei laici nella Chiesa. E da una spiritualità centrata su Cristo, i modi di una devozione mariana fondata su una teologia forte.

In conclusione vorrei dire che la figura di lui, per lo spirito giovanile con cui don Pollo “portava” come in nuce questa sensibilità spirituale, che ha “disturbato”, almeno un po’, il clima solitamente ripetitivo del paesaggio diocesano nel breve momento del suo passaggio. Questa del “maestro spirituale” è la figura che ci è stata tolta (molte volte penso anche per nostra colpa) e tolta al destino della crescita della vita eusebiana. Sta bene infatti don Pollo con quella tonaca nera nel quadro ora fissato nella cappella del seminario, perché così rappresenta al meglio la centralità della sua figura di prete. Così lo abbiamo da subito ricordato, molto semplicemente e molto poveramente, nel 1941, all’indomani della sua morte, raffigurato nelle fotografie esibite allora nella portineria del seminario. E così lo abbiamo voluto anche nel piccolo medaglione coniato da un altro amico di don Pollo, il marmista Giuseppe Odone,che è in cima alla lapide nel primo cortile del seminario a lui dedicata dalla Gioventù Cattolica nel corso di un Convegno Diocesano presente l’allora Presidente Nazionale della GIAC. dottor Mario Rossi.

Lo scorso anno, nell’omelia, citando Thomas Eliot, ho cercato di mettere in rilievo ciò che ritengo essere al cuore della nostra devozione per il beato don Secondo Pollo. Non era una cosa scontata il martirio dell’arcivescovo di Canterbury. Non è un fatto scontato avere visto fra noi un santo, averlo amato e non amato, averlo seguito e non seguito, averlo celebrato e averlo ignorato. Un santo fra noi è una grande responsabilità: E ancor più un martire. Ci provoca. Provoca la nostra mediocrità. E tuttavia, è anche una opportunità: lui ci conosce, lui prega per noi, lui intercede per farci come ci voleva. Per farci come Dio ci vuole, cristiani cresciuti sulla statura sua, che è la statura di Cristo. La statura della sua santità.

 
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